L’Archivio del Caos
L’Archivio del Caos Un’altra modalità operativa dell’archivio del caos è quella di creare una situazione in cui persone diverse sono invitate a contribuire alla creazione dell’archivio stesso fornendo materiale a…
Giuliano Galletta è nato a Sanremo nel 1955. Vive a Genova. Artista, giornalista e scrittore, è attivo dalla seconda metà degli anni Settanta, ha esposto in gallerie e musei italiani e stranieri. Nel 2010 ha presentato al museo di arte contemporanea di Villa Croce, a Genova, la mostra antologica “Il museo del caos”. Fra le mostre più recenti, “Anamnesi”, con Beppe Dellepiane (IMFI, Ex ospedale psichiatrico di Quarto, Genova, 2018), la personale “Non mi fare paura” (CE/Contemporary, Milano, 2017) e la collettiva “Arte e perturbante” (Museo comunale di Ascona, 2017). Ha pubblicato “tous jours” (edizioni Sileno, 1979), la raccolta di poesie “Un impossibile giorno” (edizioni Sileno, 1990), il saggio “Il televisore. Dal totem casalingo alla realtà virtuale” (Gribaudo, 1995), “Almanacco di un altro anno” (Antilibro-posteditore, 2004). “Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del XX° secolo” (il melangolo, 2005), ”Sabrina e l’arte della felicità” (il melangolo, 2006), “Volti & risvolti”, con Gianni Ansaldi (Sagep, 2009), “Il mondo non è una pesca” (Socialmente, 2010), “Il museo del caos” (Il Canneto editore, 2010), “Non voglio essere me stesso” (Il Canneto editore 2012), “Materiali per un romanzo visivo” (Mucas editore, 2014). Nel 2004 ha vinto il premio giornalistico Saint Vincent per la rubrica “Venti righe”, apparsa sulla prima pagina del quotidiano Il Secolo XIX dal 2001 al 2004. Dal 2011 tiene sul Secolo XIX la rubrica “Posta e risposta”- Nel 2015 ha scritto con Pino Petruzzelli lo spettacolo “Bèsame mucho” ispirato a Edoardo Sanguineti e prodotto dal Teatro Stabile di Genova. Nel 2017 è stato tra i curatori della mostra “Gli anni del 68. Voci e carte dall’archivio dei movimenti” che si è tenuta al Palazzo Ducale di Genova.
Giuliano Galletta (Sanremo, 1955) inizia a operare a Genova, a metà degli anni Settanta, ancora liceale, mettendo in scena nel 1974 una sua piéce “L’insostituibile Calogero”, sorta di musical barocco influenzato, oltre che dal teatro brechtiano, da autori come Arrabal e Gombrowicz.
In quel testo giovanile, ma soprattutto nell’allestimento e nella regia, sono rappresentati in nuce alcuni dei temi che l’artista svilupperà poi con altri mezzi: oltre alla scrittura visuale, l’ambientazione (sempre caratterizzata nella sua opera da forti elementi scenografici) e la performance.
Negli anni subito successivi (si iscrive alla facoltà di Filosofia e segue le lezioni di Edoardo Sanguineti), inizia anche l’attività giornalistica – che diventerà poi professionale – nelle nascenti radio private (allora dette “libere”) del movimento studentesco del ‘77. La carriera giornalistica proseguirà poi in diversi quotidiani per approdare al “Secolo XIX”, dove dal 2001 al 2005, terrà sulla prima pagina, una rubrica di successo, dal titolo “Venti righe”, che gli varrà anche il premio giornalistico Saint Vincent, consegnatogli dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi nel dicembre del 2004.
Tornando all’attività artistica, che proseguirà sempre parallelamente e “sottotraccia” rispetto a quella giornalistica, sin dal 1975/76 gli interessi di Galletta si spostano dal teatro al fronte più filosofico/letterario e visuale.
Determinante in quegli anni, oltre all’influenza di Sanguineti e di tutta la tematica della neo-avanguardia italiana (Manganelli, Arbasino ma anche l’eccentrico Emilio Villa), lo studio della Teoria critica della società elaborata dalla Scuola di Francoforte ed in particolare Adorno, oltre a Barthes, Baudrillard, Beckett e la scoperta della multiforme area situazionista . Il lavoro di Galletta sarà quindi sempre innervato, da una consapevolezza dei problemi teorici, filosofici, legati all’ operatività estetica e che diventeranno parte integrante e inseparabile dell’opera stessa. In questo senso Galletta rielaborerà,. ma in modo autonomo, alcuni dei temi del Concettuale.
Dal punto di vista più propriamente “stilistico” negli anni dal ‘75 al ‘78 Galletta lavora sul rapporto fra parola e immagine nella direzione segnata dalla ricerca poetico-visuale che aveva avuto a Genova sin dagli anni Cinquanta, grazie al lavoro di Martino Oberto, uno dei suoi luoghi deputati e in questo quadro si inserisce anche la collaborazione con Rolando Mignani.
L’interesse per la Scrittura sarà all’origine, in quegli anni dell’incontro con l’opera del filosofo Jacques Derrida, che sarà poi l’argomento della tesi di laurea di Galletta. Rispetto ai già consolidati stilemi della poesia visiva Galletta sposta l’attenzione sugli elementi narrativi (collegabili, ma solo in parte, con la Narrative Art) e antropologici, sin dagli inizi concentrando l’attenzione sui temi dell’identità dell’artista, l’impossibilità del diario e dell’autobiografia.
Tutto questo lavoro confluirà nella pubblicazione nel 1978, per i tipi della Libreria editrice Sileno, del “romanzo visivo”. “tous jours”. Il libro si avvale della post-fazione di Carlo Romano, saggista eclettico e protagonista dell’underground italiano, oltre che conduttore, con il fratello Mario, della libreria Sileno di Galleria Mazzini a Genova, per più di vent’anni punto di riferimento imprescindibile della cultura genovese.
La collaborazione e soprattutto l’amicizia dell’artista con Romano è proseguita fino ad oggi, come quella con Sandro Ricaldone, di sicuro il critico che ha seguito con maggiore assiduità il lavoro di Galletta. Romano, Ricaldone e Galletta fonderanno nel 1984, “l’Ufficio ricerche e documentazione sull’immaginario” , archivio, biblioteca e centro di documentazione che troverà inizialmente sede in un appartamento di piazza Fossatello a Genova per poi trasferirsi a Uscio e oggi attivo soprattutto su internet con il sito la “Biblioteca dell’egoista”.
A proposito.di “tous jours”, scriveva nel 1978 il critico letterario Giuseppe Zuccarino, che ebbe modo di seguire da vicino la genesi dell’opera:
<”tous jours” è un oggetto insolito che stimola l’interpretazione nel momento stesso in cui respinge la definizione. Chiaramente affine a certi prodotti della Scrittura visuale o della Narrative Art non si lascia però ricondurre interamente, senza residui, a una o all’altra di queste pratiche estetiche. Si potrebbe avvicinarlo a quel “libro-almanacco” che, secondo il singolare giudizio di Dominique Noguez “sovvertirà ben presto, (o sovverte di già) la moribonda forma del romanzo, e semplicemente (o complessamente) la distribuzione (in tutti i sensi della parola) dei generi>.
Da allora la confusione dei generi (ma anche delle identità e delle funzioni sociali) sarà al centro dell’operare di Galletta, sino al punto da mettere in discussione gli stessi concetti di opera e di autore. Ciò renderà ardua per il fruitore (ma anche per il critico) la fissazione dello opera all’interno di schemi prestabiliti, il suo “riconoscimento” in quanto “merce” e di conseguenza la sua presenza sul mercato dell’arte. Dopo “tous jours” (il libro sarà anche inviato a Roland Barthes che risponderà con un cortese messaggio, scritto con un inchiostro verde su un biglietto intestato del College de France, “merci pour le photoroman reussi, merci d’avoir pensée a moi. RB”), il lavoro di Galletta si sposta dalla pagina e si concentra sull’ambiente e sull’azione.
Le sue performance non sono quasi mai pubbliche, ma vengono documentate da fotografie e filmati che a loro volta modificati (in alcuni casi con minimi interventi pittorici), diventano oggetti reinseribili in ambientazioni, a metà strada fra scenografia e arredamento, che ulteriormente registrati nel loro nuovo assetto entrano a far parte di un flusso continuo (l’opera in corso come corso dell’opera) e potenzialmente interminabile (forse come un’analisi freudiana) di comunicazione e, in un certo senso, di contro-narrazione.
Il primo lavoro costruito su questo modello (o anti-modello), che Galletta non abbandonerà più, è “Fontane” del 1979, allestito in quello stesso anno al Teatro del Falcone di Genova nel quadro della rassegna “lo spazio dei gesti” curata da Vana Conti (la prima critica ad occuparsi del lavoro di Galletta), a cui prendevano parte anche Giovanni A. Bignone e Rolando Magnani (con cui Galletta aveva collaborato nei mesi precedenti), Aurelio Caminati, Beppe Dellepiane, Angelo Pretolani. In “Fontane” Galletta lavora intorno all’idea di ornamento/monumento oltre che con l’ambientazione (che prevedeva la ricostruzione di una vera fontana all’interno dello spazio espositivo), con un film “Deriva”, ispirato alla psicogeografia situazionista, un gruppo di fotografie collegate a citazioni e una sorta di introduzione, in cui insieme a un breve testo veniva esposta, per la prima volta, “Resti”, fotografia in bianco e nero, formato 100×70, che riproduce la figura intera dell’artista appoggiato ad un muro sbrecciato del centro storico e il cui il volto è azzerato da una croce di vernice rossa.
Il lavoro, che oggi è conservato al museo di arte contemporanea di Villa Croce, interessò lo storico dell’arte Corrado Maltese che ne parlò, nel 1980, in una sua conferenza sulla situazione dell’arte a Genova tenutasi a Palazzo Tursi. “Resti” diede origine ad una serie di quattro foto dello stesso formato che compongono a una sorta di teatrino parodico in cui gli elementi luttuosi si mescolano con l’ideologia e il maquillage. La serie completa verrà esposta nell’81 alla Galleria d’arte moderna di Bologna all’interno della mostra “Lavori in corso”, curata da Rossana Bossaglia e Guido Giubbini. Come scrive Bossaglia nell’introduzione al catalogo,
<Galletta usa la fotografia come strumento di spersonalizzazione e di trasformazione del soggetto in oggetto>.
Il 1981 è un anno importante per l’artista, i primi mesi trascorrono in un lungo soggiorno a New York, insieme all’amico Paolo Prato, durante il quale ha la possibilità di frequentare gallerie e musei e di incontrare artisti e intellettuali, tra i quali Peter Carravetta, Luigi Ballerini, Paolo Spedicato, poeti e critici letterari. In quel periodo esce il numero unico della rivista “Stato inferto” realizzata con Mignani e Zuccarino e dedicata al tema “lavoro estetico e divisione del lavoro”.
E’ di novembre invece la mostra “Mon coeur mis à nu” alla galleria “Arteverso” di Armando Battelli, primo dei rari rapporti che Galletta avrà con il sistema delle gallerie private. Della mostra così scrive Viana Conti in una lunga recensione apparsa sul quotidiano l’Unità:
<Gli oggetti che troviamo in galleria sono quelli del nostro quotidiano scelti semiologicamente come simboli di disparità sociale e distribuiti nell’ambiente secondo una sintassi che esprime categorie di habitat>;
e più avanti
<queste cose “deviate” non esibiscono la loro aura, ma quella del contesto che le stravolge, in cui, persino il rosso bella sua funzione mummificatoria, diventa colore anemico>.
L’ambientazione “Mon coeur mis à nu” è anche documerntata da un film girato in pellicola 16 mm.
Negli anni Ottanta Galletta intensifica l’attività giornalistica ma ciò non gli impedisce di continuare a operare sul fronte artistico e molto spesso a progettare mostre e installazioni che non saranno mai realizzate per motivi logistici e organizzativi.
Da segnalare la partecipazione a due importanti collettive, nel 1985 “Pittura 70/80” a cura di Sandro Ricaldone (C.A.L.A. Fieschi, Sestri Levante) e nel 1986 “Giovani pittori in Liguria” a cura di Guido Giubbini (Museo di arte contemporanea di Villa Croce, Genova). Sempre dell’85 è l’ambientazione/performance “Gli occhiali di mio padre” allestita nei saloni dell’ ex-ospedale psichiatrico di Quarto, su invito di Claudio Costa e Luisella Carretta.
Su quel lavoro Romano scrive:
<Una sua installazione che di recente abbiamo visitato ci aggrediva funebre non perché il drappeggio, che pure era nero, stagliasse rimembranze di allestimenti obitoriali o perché la sala ex-manicomio più non avesse alcuno degli aliti vitali che sebbene in odore di follia vi dovettero spirare (al colmo dell’ambiguo!) e si presentasse prossimo ala rovina (…) . Il parto non sembrava aver recato dolori, il corso dell’esistenza si profilava effimero come tutte le installazioni da vernissage; alla morte, poi, eccoci al dunque, l’esortazione necrofora suonava con la leggerezza dei senza fede: seppellite in fretta>.
Rimarcabile nel 1988 la personale alla Studio Gennai di Pisa che riassume in sintesi, con una serie di teche il lavoro Galletta ed è introdotta da un illuminante testo di Ricaldone: : “L’autore stesso si reifica, evocandosi ironicamente per il tramite della propria immagine, rimarcando nella “moltiplicazione della figura” il ruolo di assenza che si propone di giocare. Un ruolo che se “cerca di spostare il linguaggio dal posto in cui si trova” (Esterhazy), se può giovarsi di tratti contradditori e della falsificazione, non concede spazio all’ambiguità, semmai a una dissimulata componente drammatica: tale l’inscriversi l’opera entro l’ambito delle convenzioni estetiche, la deliberata volontà di farne ornamento della consapevolezza che, come ha scritto Lea Meandri “il piacere è una distrazione imperdonabile per chi è costretto a vegliare la propria morte per sentirsi vivo”.
Gli anni Novanta si aprono con un lavoro complesso “Appunti per la casa pericolosa” cui è collegata la pubblicazione della plaquette di testi poetici “Un impossibile giorno” edita dal Sileno. Negli “appunti” Galletta riesce a lavorare – grazie allo spazio che ospita, l’appartamento in cui ha sede l’associazione culturale “Le arie del tempo” fondata e animata da Luisella Carretta – sull’idea di casa, costruendo tre ambientazioni in tre stanze diverse e utilizzando anche un corridoio, spazi che diventano anche scenario di una performance “privata”.
Scrive ancora Ricaldone in catalogo:
<Una sequenza puramente incongrua che si astiene tuttavia dl fare leva sull’insensatezza (sull’irrilevanza) degli accostamenti per sbalordire, creando una deriva abbreviata e traumatica, e si limita invece a segnalare uno stato di pericolo, o di insofferenza (…) e insieme abbozzando un catalogo beckettiano di “cose insopportabili”, che ci mantengono legati al mondi cui ineriscono e del quale osiamo sperare di non essere parte>..
In occasione della stessa installazione scrive il critico Matteo Fochessati:
<Il racconto artistico di Galletta, strutturato attraverso tappe diversificate rispetto agli ambiti di intervento, si propone quindi come il racconto della dispersione del soggetto nei territori di un immaginario culturale che si reifica in immagini e cose in sostituzione del virtuale personaggio principale, l’io dell’artista>.
Nel ‘93 Galletta realizza nello Studio Alaya di Vittoria Gualco un’altra ambientazione da segnalare, dal titolo “Mentre dormivo” e nel ’95 una piccola antologica, “Delirium stabile”, nei locali del ristorante “Il capovolto” introdotta da un breve testo di Leo Sarastro (pseudonimo dietro al quale si cela lo stesso artista), in cui si legge:
<L’eco del pianto sommesso (o della risata soffocata) che giunge da questi lavori non deve essere sottovalutato. Non conosciamo l’identità del lamento, né l’autore (se così possiamo dire) ci aiuta a scoprirla. Egli cammina su un filo sospeso e da qualsiasi parte cada il suo destino è segnato. Di raggiungere un’altra sponda non se ne parla nemmeno. Troppo lontana. Da questo punto di vista il tempo gioca un ruolo importante ma Galletta non sembra preoccuparsene. Attende il passo falso con l’agitata tranquillità del pendolare. Osserva i volti dei suoi compagni di viaggio e si commuove dal divertimento>.
Sempre nel ‘95 pubblica nella colonna “Gli oggetti del secolo” ideata da Gianluca Trivero per le edizioni Gribaudo, il saggio “Il televisore. Dal totem casalingo alla realtà virtuale” e nel ‘97 “Adriano Sansa, cittadino e sindaco” (De Ferrari editore).
Negli stessi anni collabora con l’artista, editore e grafico Francesco Pirella a cui dedica diversi testi critici tra cui l’introduzione al “Manuale dell’antilibro” edito da Marietti. Fra la fine del 2001 e la prima metà del 2002 realizza, per l’emittente Telecittà, ventiquattro interviste televisive con Edoardo Sanguineti che saranno poi raccolte nel volume “Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del ventesimo secolo” pubblicato dal Melangolo.
Nel 2004 pubblica, in collaborazione con L’Officina di tipografia sperimentale dell’Armus, l’archivio-museo della stampa fondato da Francesco Pirella, l’antilibro “Almanacco di un altro anno” in cui ripercorre, ma in modo creativo – attraverso, testi, documenti, foto, citazioni – le tappe della sua attività ormai quasi trentennale. L’Almanacco viene presentato nell’ottobre del 2005 al museo in arte contemporanea di Villa Croce da Sandra Solimano, direttrice del museo, Carlo Romano, Sandro Ricaldone. Giuseppe Zuccarino e Riccardo Manzotti, studioso di robotica e coscienza artificiale. Nell’occasione Galletta realizza l’happening la “Tavola di San Giorgio” in cui è coinvolto anche il pubblico presente alla serata.
Nel 2006 pubblica presso il Melangolo una scelta delle “Venti righe”, nel volume dal titolo “Sabrina e l’arte della felicità, notiziario instabile di un cronista di provincia”(prefazione di Giorgio Bertone).
Sempre nel 2006, ad ottobre, tiene presso la Galleria Martini & Ronchetti di Genova la mostra “La camera melodrammatica”, nel cui catalogo compaiono testi di Sandro Ricaldone e Raffaele Perrotta. Nell’aprile del 2007 realizza per la casa museo Asger Jorn di Albissola Marina la mostra “Archivio del caos e memoria dell’I.S.” e nell’autunno dello stesso presenta al CAMeC, museo di arte moderna e contemporanea della Spezia la mostra “Hotel de l’avenir”, curata da Bruno Corà che nell’occasione scrive: “Galletta sa impiegare i mezzi della visualità e quelli del messaggio verbale con un efficacia critica non trascurabile. Dopo John Hearthfield, dopo Klaus Staeck, dopo Barbara Kruger egli ha trovato la propria frequenza trasmittente, impegnata, incisiva e toccante”.
Nel 2008 è invitato a diverse collettive in Italia e all’estero.
Del marzo 2009 è invece “Yuo ‘re the top”, personale alla galleria UnimediaModern di Genova. Nel 2009 e nel 2010 escono “Volti & Risvolti” (Sagep), che raccoglie settanta interviste ad intellettuali italiani e stranieri, fotografati da Gianni Ansaldi, e “Il mondo non è una pesca” (Socialmente, prefazione di Moni Ovadia) in cui è riunita una selezione degli articoli scritti per il Secolo XIX dal 2005 al 2010. Sempre nel 2010 gira il video “Convesazione” ispirato al romanzo “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini, presentato in anteprima al festival di Villa Faraldi il 1° agosto.
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