L’invenzione del microcosmo

Matteo Fochessati (1993)

Un discorso sulla figura artistica di Giuliano Galletta e sulla sua produzione estetica – i due termini saranno da considerare, come si potrà verificare più avanti, in stretta correlazione – deve innanzi tutto tener conto di alcune specificità del suo lavoro che ne offrono la cifra caratteristica. Da un lato la monotematicità della sua ispirazione e dall’altro, in una posizione paradossalmente speculare, l’estrema libertà inventiva a tradurre operativamente la propria tensione espressiva.
Galletta ha fondato il percorso estetico della sua ricerca sulla negazione del proprio presupposto poetico: ovverosia l’impossibilità (o l’intenzionale proposito) di non mettere in pratica la propria decisione a comporre un tracciato autobiografico ha determinato la sostituzione del soggetto, assorbito dai materiali e dalle fonti elaborate dall’artista attraverso differenti metodologie operative. I suoi campi di intervento hanno spaziato infatti dal teatro, ambito nel quale è attivo agli esordi della sua esperienza artistica, alla ricerca letteraria e filosofica, dalla poesia visiva (area a cui si avvicina attraverso una tangenza più esistenziale e culturale che espressiva) alla performance, dall’installazione all’arte visiva al film. Questo suo “eclettismo” espressivo è tuttavia tale solo in apparenza, in quanto ognuna di queste aree di intervento risulta coerentemente funzionale ad una pratica operativa “aperta”, dilatata quindi dallo sforzo di perseguire la realizzazione di una tematica ossessivamente costante: l’impossibile costruzione di un’autobiografia, appunto. Il racconto artistico di Galletta, strutturato attraverso tappe diversificate dal punto di vista degli ambiti di intervento, si propone quindi come il racconto della dispersione del soggetto nei territori di un immaginario culturale che si reifica in immagini e cose, protagoniste degli eventi in sostituzione del virtuale personaggio principale, l’io dell’artista.
In questa contrastata trasposizione di un percorso esistenziale, un ruolo fondamentale è giocato dalla non specificità artistica di Galletta, determinata proprio dal suo agire in differenti campi professionali, attingendo quindi a settori culturali diversificati.
Questa non appartenenza ad un luogo artistico determinato spiega dunque l’estrema libertà compositiva di Galletta, fortemente caratterizzata da un valore di interscambiabilità espressiva.Fondamentale oggetto della sua ispirazione è infatti l’attenzione “semiologica ” ai segni e agli oggetti, a quei residui esistenziali che costituiscono le tracce di partenza di un percorso a ritroso nella memoria, in occasione degli incontri che abbiamo con essi nella nostra vita quotidiana.
Simbolico punto di partenza di questa ricerca sulla dispersione del soggetto, all’interno di una pretesa stesura narrativa autobiografica, è il romanzo visuale “tous jours”del 1978. Questa opera è solo in parte debitirice della vicinanza di Galletta con e diverse tendenze della ricerca verbo-visiva che trovarono un fertile terreno di incontro e di sviluppo nel capoluogo ligure già a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta. Paradossalmente – ma il gesto e lo spiazzamento ironico rappresntano un atteggiamento costante all’interno del percorso dell’artista – il romanzo “tous jours”, pur nella sua resa interamente visuale, trova la sua origine nella matrice letteraria-filosofica dell’artista. In un’epoca di sperimentazione linguistica, come quella che vedeva la nascita dell’opera di Galletta, l’ipotesi di declino della struttura narrativa del romanzo poteva dunque stimolare la creazione di forme espressive alternative. Galletta indicava la sua opera col termine Fotobildungsroman, che univa il riferimento al fotoromanzo ad uno scanzonato approccio al tradizionale “romanzo di formazione” . E il riferimento al fotoromanzo non era solo un pretesto ironico di riappropriazione degli schemi narrativi del genere e della loro caratterizzazione nel senso del kitsch, ma rappresentava anche la chiave d’accesso a quel registro “basso” di un immaginario culturale da cui l’artista ripescava le immagini del suo libro, in questo caso le foto tratte dalla rubrica l’edipeo encicopedico della “Settimana enigmistica”, proposte con o senza interventi da parte sua. Senza voler approfondire oltra la descrizione di quest’ opera, debitrice in parte delle ricerche semiologiche di Roland Barthes (si pensi ad esempio alla traccia autobiografica del Barthes di Roland Barthes) tous jours si può considerare il banco di prova del lavoro successivo di Galletta, sia in termini tematici sia per quanto riguarda il suo peculiare approccio estetico non certo estraneo a una vena dadaista, si pensi solo al casuale scorrere delle immagini nel suo romanzo visuale. La successiva apertura in senso spaziale di questa operazione linguistica è rappresentata da alcune installazioni che, a ribadire il continuo interscambio dei suoi campi di intervento, si possono considerare strettamente collegate alle sue originarie esperienze in campo teatrale, oltre che influenzate dalle sue matrici letterarie.
L’occupazione spaziale dei suoi interventi si esprime attraverso un linguaggio di tipo scenografico, piuttosto che attraverso una risoluzione formale determinata da una lettura in senso plastico o concettuale del luogo d’azione. Anche in questo caso a Galletta interessava mettere in scena una struttura narrativa – ovviamente adeguata alla tipologia linguistisca prescelta – in cui porre in evidenza la pregnante presenza di alcuni oggetti e simboli tratti dalla complessità esistenziale e culturale dell’immaginario quotidiano: “le infinite meraviglie gli innumerevoli orrori” del sociale. Nella più recente installazione Appunti per la casa pericolosa del 1990 presso Le arie del tempo di Genova, il lavoro di Galletta si è maggiormente caricato di suggestioni letterarie, già presenti comunque nelle sue opere precedenti attraverso un interscambio citazionistico. Il contributo di tutte le precedenti esperienze del suo lavoro risultava comunque presente in questo allestimento scenografico la cui struttura si delineava attraverso una sequenza di incongrui e dissonanti rimandi narrativi. Se dunque nelle installazioni precedenti gli oggetti venivano fissati dakl colore nella loro specificità oggettuale, nel lavoro più recente di Galletta e in quello progettato per gli interventi futuri le presenze oggettuali diventano parti di un arredo immaginario per le stanze di un’ipotetica casa, microcosmo di una realtà in cui si mescolano i sedimenti della quotidianità e del ricordo.