L’ avanguardia non s’arrende varianti del Detournement
Sandro Ricaldone 2007
Non è del tutto inusuale che le cose esistano prima di essere inventate. L’uso del fuoco ha preceduto per certo la creazione del mito di Prometeo. E la fatica del lavoro non ha atteso la descrizione della cacciata dall’Eden per affliggere l’incipiente umanità. Così è occorso, seppure attraverso una genealogia cronologicamente più compatta, anche al détournement, oggetto di questo breve saggio. (In effetti è convinzione di chi scrive che il détournement stesso, a dispetto del nome lungo, sinuoso semanticamente e nella pronuncia, sia in sé una sorta di saggio breve, costruito con un meccanismo elementare ma con una concettualità affilata). Ma torniamo al principio: Guy (Debord) e Gil (Wolman), teorizzandone i modi d’impiego sulle pagine di una rivista significativamente denominata labbra nude (che preludono, in sequenza, al bacio nudo di Samuel Fuller, al pasto nudo e, in estensione, alla dassiniana e/o debordiana città nuda) non si diedero la pena d’occultare – senza peraltro citarlo espressamente – l’archetipo d’Isidore Ducasse, ovvero l’incontro fortuito d’un parapioggia e d’una macchina da cucire su un tavolo operatorio, cui, con l’aiuto di un pezzo di stoffa e di una matassa di spago, Man Ray si è sforzato d’imprimere i connotati del mistero. Con una certa preveggenza ne sottolinearono, comunque, il tratto propagandistico, utilizzato in prosieguo più dai mercenari dell’advertising che dai militanti della lotta di classe. Un altro sviamento d’epoca, del tutto ignorato dai nostri nonostante la sua articolazione multipla, era stato operato da Duchamp con la sua fontana/orinatoio, oggetto provocatorio introdotto non vi sed clam in ambiente deputato alle raffinatezze dell’arte e per giunta ironicamente ribattezzato. I surrealisti con i loro cadavres exquis, ottenuti facendo proseguire a B (e poi a C e via dicendo) un disegno iniziato da A, lasciandone intravedere appena gli estremi contorni, hanno messo in atto una versione del détournement tra il medianico e l’azzardo, e su quest’ultimo piano hanno poi divagato non poco grazie alla poetica antigraziosa dell’object trouvé. Alle pratiche ante litteram, nel cui ambito non si può dimenticare romanzo metagrafico lettrista ove la scrittura emerge dall’accostamento di codici eterogenei (segni alfabetici, fumetti, rebus et similia), sono seguite quelle ormai canoniche dei situazionisti medesimi, diligentemente catalogate secondo leggi universali e particolari, nonché secondo le varie discipline letterarie, plastiche, urbanistiche e cinematografiche, queste ultime riconosciute come portatrici della “più grande bellezza”. Del tutto radicale, ma all’atto pratico scarsamente applicato, l’ultra-détournement, concernente la vita sociale quotidiana, che veniva additato, ahinoi invano, come la chiave di volta di una palingenesi epocale, o come il pulsante che risolutamente premuto avrebbe dato luogo ad un’inarrestabile reazione a catena, esplosiva quel tanto (o quel poco) da sconvolgere l’intero sistema dei riferimenti culturali invalsi. Tra gli esiti, non eclatanti a tal punto, ma di livello superiore nel contesto situazionista, si sono venuti situando, con la tempestività richiesta dalle circostanze, la pittura industriale (mediante cui Pinot Gallizio ha offerto un epilogo parodistico alla storia della pittura affidandosi ad un sovrappiù di pittura, salvo poi divenire pittore lui stesso) e le “modificazioni” operate da Jorn su quadri rastrellati al mercato delle pulci (ora si direbbe dell’antiquariato minore), fra le quali campeggia la biancovestita fanciulla, abbellita con barba e mustacchi e sormontata dalla scritta: “L’avanguardia non s’arrende!”. L’improvvida tendenza del nuovo a farsi tradizione (Jorn accennava, meno accademicamente, allo scadere della menzogna in verità) ha prodotto conseguenze non calcolabili. Un post-détournement di cadenza classica ci è stato offerto, in anni recenti, da Barbara Kruger, Leone d’oro alla Biennale veneziana del 2005 (sic transit …). Wikipedia però, all’apposita voce, c’informa che esiste ancora un autentico detournatore. Si tratta (lasciando da parte i subvertisements di Adbusters, la cui fama nel web non poggia su un piedistallo di adeguato spessore) di Paul Conneally, che con Marlene Mountain ed altri, combina i dieci comandamenti e citazioni di George Bush in simil-haiku ignoti nei nostri paraggi ma, si suppone, deliziosamente raccapriccianti. Giuliano Galletta, i cui precoci esordi sono avvenuti all’insegna del diario détourné (“Tous jours”, romanzo visivo, Libreria editrice Sileno, 1978), si volge ora, nelle stanze di Casa Jorn, a straniare, stravolgere, ribaltare la Filosofia dello Spirito in un match dall’esito imprevedibile con Muhammad Alì ed a sentimentalizzare lo shopping con grafemi trascritti manualmente su sacchetti di carta. Imprende a detournare l’indetournabile (il caos) abbozzandone un archivio: tentativo in cui le agevoli vittorie riportate su uno stato di cose obsoleto si polverizzano di fronte a quello che, nelle parole di Jankélévitch, è l’Ostacolo, l’Insormontabile, “l’aggiornamento indefinito del grande scacco mortale”. (2007)