A romance. Giuliano Galletta
Viana Conti
A Romance 1990-2009, video, 3’16”,
performer Simona Fasano, video Claudio Maccagno.
Il video presenta la re-citazione di un momento espositivo del passato, del metascenario di spezzoni di un déjà vu, dando immagine a una visione retroversa dello stesso artista, rispecchiato nel doppio della modella, che ripete, nel 2009, quasi in trance, gli stessi gesti, familiari e inquietanti, da lui compiuti nella performance del 1990, a Genova, alle Arie del Tempo. Il titolo A Romance, connotato sentimentalmente, si contrappone a Novel, più narrativamente discorsivo. La presenza femminile non intende essere quella di un’attrice o ballerina che interpreta l’azione, ma quella attuale dell’alter ego dell’artista. Il divano consunto, la figura di coppia del pittore e la modella ritornano, come un refrain, nelle sue opere. La casa pericolosa è quella – dichiara nel sottotitolo – in cui sono ritornato. Ma in quale casa ritorna l’artista? Non certo quella che riveste lo stereotipo della dimora rassicurante, ma piuttosto la casa conflitto di tensioni e resistenze, in cui l’imprevisto è costantemente alle soglie, una casa come figura ossimorica: fatale materializzazione del perturbante. Il senso della routine della casalinghitudine, intriso di suspense, aleggia nella gestualità della performer che piega e dispiega, con ritrosia, le lenzuola, strofinandole con le mani, dopo avervi spremuto violentemente un tubetto di rosso, afferrato come un pugnale. L’elemento del sangue è un’evidente finzione, dal momento che si tratta di colore a tempera, ma non per questo, nel discorso dell’artista, meno inquietante. L’indizio delle lenzuola, non di rado presenti nelle sue videoinstallazioni, rimanda simultaneamente dal letto al lutto, dall’erotismo alla morte. Il ricorso alla canzone Amapola, indimenticabile colonna sonora del film C’era una volta in America di Sergio Leone, il cui testo iper-romantico è di Nana Mouskouri, funziona, nel contesto, come intenso, struggente, elemento straniante. Il dramma, sospeso sulla scena, accade come sottrazione di teatro, per presentarsi come situazione scenografica di oggetti concertatamente assonanti. Il suo ricorso alla fotografia, al testo, alla citazione, al video, non riveste un problema di linguaggio, ma investe la forma del documento, dell’objet trouvé, del materiale tratto indifferentemente da youtube o dalla strada. L’accento personale sottratto al linguaggio, viene conferito al montaggio, cui compete la drammatizzazione dell’elemento narrativo. È mettendosi in opera come filosofo del relitto, antropologo dell’aforisma, archeologo delle rovine domestiche, che Giuliano Galletta trova la sua modalità ideativa e creativa, non cessando, altrimenti detto, di effettuare prelievi dal caos dell’universo per riassemblarli come reperti: categoria a cui non esita di ascriversi.
Viana Conti