La camera melodrammatica

Viana Conti (2006)

Già autore e post-editore di un’opera in forma di almanacco (Almanacco di un altro anno, 2004) Giuliano Galletta (San Remo,1955) si ripresenta in una galleria d’arte, la Martini&Ronchetti di Genova, con una situazione di mostra ambientale: La camera melodrammatica, il cui titolo deriva dalla Camera rossa, presente nella realtà e nel racconto di Filippo De Pisis, come annuncia nel testo a catalogo il curatore Sandro Ricaldone. E d’un voyage autour de sa chambre si tratta infatti, dal momento che il visitatore si confronta con uno spazio il cui ameublement è scandito da oggetti, soggetti, suoni, immagini, proiezioni, che, in un continuo slittamento tra il reale e la rappresentazione, tra una Darstellung e una Vorstellung, ricompongono il quadro di un aggiramento possibile dell’autobiografia dell’artista. La mega-rappresentazione fotografica dell’opera Mentre dormivo, 1993, dove un materasso cimiteriale trapunto da fiori artificiali, introduce, già a partire dalle scale di accesso e con quella sua cornice tanto classica da figurare lugubre, al clima dell’evento allestito nelle due sale superiori. Sdoppiato nella figura della modella-attrice, pallida, quasi esangue, ma di rosso vestita, di quel rosso virtualmente listato di nero che tanto si addice alle rammemorazioni di un vissuto che Giuliano Galletta non cessa di guardare attraverso una lente d’ingrandimento, uno specchio replicante, una messa in distanza intimamente dolente, sempre letterariamente elegante, immancabilmente autoironica. Esprit de finesse che affiora nell’erotismo delle immagini fotografiche, citazione, forse, dell’École du regard, che affonda nella poltrona rivestita di bianco ospedaliero dove, in processione silenziosa, si avvicendano i visitatori per ricostituirsi sotto gli effetti di una fleboclisi, premurosamente praticata dall’attrice, questa volta nel ruolo d’infermiera. Catalizza lo scenario un oggetto ricorrente nelle installazioni e nelle pubblicazioni recenti, sorta di segno apotropaico: un gufetto dorato, falsamente rassicurante. Ma c’è dell’altro: davanti a un’emblematica sedia a rotelle il più inappuntabile dei ballerini di Tip tap, il mitico Fred Astaire, volteggia e sfarfalla sullo schermo di un monitor e nella megaproiezione sul muro. Davanti a questa, tanto spensierata quanto malinconica, prefigurazione dell’inevitabilità della fine non posso non citare, e sono certa che Giuliano Galletta è d’accordo, la struggente sequenza poetica del video Provvista di ricordi per il tempo dell’Alzheimer (2003) di uno dei maggiori artisti italiani, quel Franco Vaccari (Modena 1936) che sottoscrivendo la formula estetica dell’Esposizione in tempo reale, numerata in progress, ha ideato, nel contesto internazionale dell’arte contemporanea, una sua personale modalità di Realismo concettuale. In linea di massima l’essenziale è mostruoso ci comunica l’autore, con un sorriso tra il faceto e il provocatorio, attraverso una sua opera riconducente al quadro, mai tradito, e al libro di aforismi, cui non cessa si applicarsi. Sembra di rivederlo, oggi che barba e baffi si venano di filigrana d’argento, quando, adolescente, si ritraeva da pugile o in seguito, capellone riccioluto, quando, nel 1979, si incorniciava in una miniatura tombale, si barrava il volto e le labbra di rosso, affermando interrogativamente, nel Centro diretto da Biljana Tomić a Belgrado, Cosa importa chi parla? o ancora quando, da performer, indossava gli occhiali dorati di suo padre. Nel volume che accompagna la mostra, dedicato allo scrittore visuale Rolando Mignani, recentemente scomparso, scorrono tra fantasmi di immagini e autori, le citazioni da Louis-Ferdinand Céline, Jacques Lacan, lo stesso artista, Edoardo Sanguineti, Mario Praz, l’immancabile Samuel Beckett, Julia Kristeva, Filippo De Pisis, Jorge Luis Borges, Santa Teresa D’Avila, Philippe Sollers: pagine che suonano come una dichiarazione di poetica e di appartenenza a un certo contesto di questo artista/scrittore dall’identità eclissata, dalla personalità collettiva e diffratta, impegnato in un esercizio linguistico tanto ibridato da rendere arrischiata ogni possibile autobiografia, toujours nouveau ogni suo fotobildungsroman. “Giuliano è attento nell’uso di «parola», le preferirebbe il gesto ricomposto a fondamento di vita rivissuta in metafora vitalizzata”, scrive Raffaele Perrotta scrittore-poeta autodefinitosi inesorabilmente un tentativo iconico, ma sempre autorevole autore di un perdurante “romanzo-saggio”.“La ‘retorica’ è nostra, Giuliano – continua – la facciamo nostra, e di parola in parola mettendo in campo il di segno in segno,…” La camera melodrammatica di Galletta metterebbe barthesianamente in scena, di frammento in frammento, il discorso stesso del romanzo, assumerebbe derridianamente la forma di ciò di cui si parla, rammemorerebbe visivamente, in un debordiano percorso di dérive , un vissuto invisibile, leggibile tra le immagini, ascoltabile nei vuoti di parola – “il Necessario del Silenzio E-loquente” di cui parla Raffaele Perrotta – allestirebbe uno scenario sceneggiato altrove per un pubblico di altri spettacoli. Teorico accanito dell’understatement, assertore di un’ispirazione casual-procedurale, Giuliano Galletta, si forma sul terreno della letteratura, del pensiero, delle avanguardie storiche; nel 1978 esce il suo poema visivo Tous jours, nel 1990 la raccolta di poesie intitolata Un impossibile giorno. Determinante per il suo lavoro è l’incontro con Edoardo Sanguineti, di cui ha curato per le edizioni de il melangolo Sanguineti/Novecento – conversazioni sulla cultura del ventesimo secolo.