l’almanacco gallettiano

Sono un abbozzo, lo sento (Paul Valery)

Leo Sarastro (2003)

Anche il non fatto lascia tracce. Questo almanacco è fatto di quelle tracce. Se ci fosse concesso il dono dell’estrema sintesi (ma ci acconteremmo anche di quello della sintesi estrema), potremmo affermare di trovarci di fronte a un’educazione sentimentale al nulla, a un Bildungsroman senza formazione e, ovviamente, senza romanzo, a un album senza ricordi.

Ma siamo condannati a dilungarci anzi, meglio, a rinviare. Dalla comune impossibilità a concludere emergono quindi come rottami, abbandonati dai flutti sulla spiaggia dell’immaginario, parole, icone, descrizioni, prefazioni, note, supplementi, appunti, citazioni. Armamentario scritturale che circonda un vuoto, ma al tempo stesso lo crea come luogo di una possibile forma di comunicazione. Comunicazione che è sintetica, ma non elementare, primaria, ma non primitiva, residuale, ma con un certo vigore tautologico.

E’ come se l’autore si fosse autocommissionato un’opera che non riesce a concludere. E’ in ritardo con se stesso. L’unica via d’uscita sarebbe quella di mettere un punto a un certo punto e l’autore, in effetti, lo mette. Non basta, il committente è insoddistatto, respinge il lavoro, non paga. Per lui non è sufficiente (per altri lo sarebbe) riempire pagine bianche, ancorché in modo abbastanza elegante.

Il libro resta così irrimediabilmente orfano, alla ricerca di un lettore che lo adotti, che lo salvi dalla certezza dell’oblio. Un lettore-creatore che, per i suoi interessi (nevrotici), o per il suo piacere (perverso), seppellisca in fretta sia autore che committente.

A funerale avvenuto, nei ritagli di tempo, potrebbe anche avvenire il rendez vous con un testo che ha le sue esigenze, anzi a dire la verità ha delle pretese, in primis quella di essere considerato come tale. E’ vero che da un punto di vista semiologico anche le istruzioni della lavatrice sono un testo, ma non è questo il caso.

Sfortunatamente però l’oggetto in questione nasce, non solo orfano, ma di salute cagionevole, ha subito danni neurologici, non gravi ma evidenti, e ciò gli comporta qualche difficoltà di movimento. L’handicap è onestamente dichiarato nel titolo, ma ciò è una magra consolazioine per il pubblico medio che pretende, giustamente dal suo punto di vista, testi in buona salute e possibilmente di bell’aspetto. La materia grigia è importante, ma non è tutto. Anche l’occhio vuole la sua parte.

L’Almanacco deve quindi trovare un lettore ad hoc, a costo di cucirselo su misura, con una sorta di bricolage del target, una sociologia artigianale dei consumi culturali, una nouvelle cousine delle attitudini individuali. A guardarlo con occhi imparziali il lettore-tipo dell’Almanacco ha soprattutto difetti, è pigro, disordinato, privo delle solide basi culturali che solo un’educazione classica può fornire, accanito spettatore televisivo e compulsatore di libri di ogni tipo. Dotato di una spiccata, quanto inutile, tendenza alla classificazione, la sua vita sessuale è scarsa ma non banale, sorretto da un’ironia tendente al macabro; non si può definirlo esattamente un disadattato, infatti non solo ricopre un ruolo sociale. ma si preoccupa delle sorti della comunità.in cui vive. Il che deporrebbe a suo favore, se non fosse che si tratta di fatica sprecata.

All’amico lettore, che non è privo di pregi, perlomeno nella misura in cui prende le distanze dall’autore, dal committente e dal prefatore, dovremmo ora fornire qualche essenziale strumento di lettura, un filo d’Arianna per uscire vivo dal labirinto atassico, una bussola per navigare nel Mar dei Dettagli, un farmaco per sopportare il peso dell’Inutile. Purtroppo, come spesso accade, non siamo all’altezza del compito.

Ci limiteremo perciò a fare un esempio. Immaginate di trovarvi a casa vostra (o a casa dei vostri genitori, se sono ancora vivi). In ogni casa c’è almeno un cassetto disordinato (in alcune case ce n’è più di uno, ci sono bauli disordinati, armadi disordinati, stanze disordinate, sublimi cantine disordinate), dove trovano posto ricevute, fatture non pagate, polaroid, carte da visita, tesserini di improbabili associazioni culturali, numeri di telefono sconosciuti, lettere, cartoline postali, auguri di Natale, biglietti del bus, appunti scritti in treno, trame di romanzi redatte su carta intestata di alberghi a tre stelle, poesie giovanili scritte dove capitava, candele per compleanni, stringhe, franchi francesi, lire, bottoni, spille da balia, agendine usate solo a metà, blister di pillole dietetiche, matrici di assegni, santini e scontrini.

Ebbene l’Almanacco consiste nel rovesciamento sul tavolo della cucina di un cassetto e la sistemazione del contenuto in ordine vagamente cronologico, con un’unica, ma decisiva differenza: quel cassetto non ha proprietario, non ha casa, non ha famiglia, non ha identità. Quei biglietti del bus , quei santini, quelle agende, quelle foto dicono continuamente “io”, ma vi garantisco, e questa è l’unica cosa sicura, essi mentono.