Sanguineti/Novecento

Ideologia, Guerra, Avanguardia, Musica, Teatro, Romanzo, Filosofi, Realismo, Cinema, Televisione, Psico-analisi, Erotismo, Morte. Queste le Voci di quella che potrebbe sembrare al lettore che scorresse solo l’indice e soppesasse le pagine, una Petit Encyclopédie sanguinetiana: “Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del XX secolo”, a cura del giornalista del Secolo XIX, Giuliano Galletta, (Il melangolo, pagg.120, 16 euro) Brevi cenni sull’universo, secondo l’antica battuta del sempre amato Gramsci? No, non è una perfomance da tuttologo che sa trattare altrettanto acutamente di Marx, Freud, Lukàcs, Godard e delle parole crociate, del Grande fratello, del bingo e dei tatuaggi. Piuttosto si potrebbe dire il contrario, Sanguineti non parla tanto, ma poco. Nel senso che si pone un limite preciso: un altro intellettuale, che so un francese, di quelli brillanti e creativi che escogitano, voilà, subito una formula o un nuovo “ismo”, in possesso di un’oncia del materiale culturale che Sanguineti ha in mano e sa far fruttare al meglio, ci impianterebbe su una filosofia, una “trovatina” da conquistare immantinente la moda. La rinuncia sanguinetiana a un paradigma filosofico unico sarà meno un atto di modestia (per quanto sia tanto leale da ammettere: “Noi continuiamo ad applicare, come è ovvio, gli schemi interpretativi che abbiamo a disposizione, ma con sempre crescenti difficoltà a definire ciò che accade”) che non un porre il suo ben calcolato eclettismo al servizio dell’opera creativa. Insomma, quel che si dice una poetica. Una poetica che corre a lungo, cadenzata e forte, parallelamente a poesie e romanzi, per tutta la sua vita di artista; per cui, se in sede critica molti metodi e strumenti sono stati resi disponibili per radiografare il reale e per “illuminare i testi”, gli sono serviti pure come “materiale poetico”. Paradossalmente, allora, la voce che manca è proprio “Poesia”. Dell’antica diade fondamentale, “Ideologia e linguaggio” (1970), resta l’analisi dell’ideologia, meglio declinata al plurale, e pure quella del linguaggio (però: musicale, artistico, cinematografico e, con ampio spazio, televisivo). Ma del linguaggio letterario e poetico, della cosiddetta lirica, o nel caso antilirica, poco o niente; a parte qualche apodittica iterazione: “Il Novecento letterario è, in essenza, quello delle avanguardie”. Sarà per il tipo delle domande e per il tema assunto, ovvero per l’intento, meritorio, di Galletta, di spremere come il succo didascalico di una “visione del mondo” (“Sanguineti preferisce il meno teoretico e più pragmatico termine “ideologia”), sarà per l’intenzionalità dell’autore, resta che il discorso sulla poesia, che fu sempre consustanziale, come si dice, al discorso ideologico, lo leggiamo solo tra le righe. Per cui queste pagine e soprattutto la più dirompente, l’ultima, si leggono meglio con un testo (poetico) a fronte nascosto: insomma manca, ma solo in via esplicita, l’idea altrove e in altri tempi affiorante della poesia e del suo linguaggio come frontiera estrema dell’ideologia e della cultura di un’epoca. E Marx e Freud? Ci sono, ma certo. Ritornano tutti e due come maestri tutelari, paradigmi di metodologie demistificanti, anche se uno del frattempo è woodyallenianamente “morto” e l’altro “non si sente troppo bene”. Sono intanto cambiate le obiezioni, e Sanguineti lo sa. Non più la diffidenza antica dei marxisti medesimi verso le pericolose inclinazioni individualistiche ed egotistiche della psicoanalisi (per quanto il dilemma tra spiegazione socioeconomica e spiegazione individualistico esperienziale resta, sullo sfondo, specie in tempi di depressione) e neppure il fallimento del socialismo reale (ma davvero “il socialismo reale” è fallito soprattutto per “la corsa al riarmo”?), ma un’obiezione che giunge dalla realtà storico culturale che è del tutto mutata. In una parola: l’avvento della seduzione pubblicitaria, come la chiama Sanguineti, che ha antenne speciali per tutti i generi di seduzione, seduttore primario lui medesimo (l’intervistatore ne sa qualcosa), per cui propaganda politica e pubblicità si integrano, mandando a ramengo dialettiche e battaglie di idee, ridotte, quest’ultime, a prodotti, merci. Lotta e coscienza di classe evaporano. Di qui la necessità di un’analisi del linguaggio televisivo che l’intervistato avvia con considerazioni persino pacifiche e ovvie. E un’unghiata da leone, la seguente: “La bizzarria dei personaggi televisivi ha il compito di dimostrare che il destino umano è più largo di quanto le regole sociali comportino”, che vale un pamphlet. E un rimedio peggiore del male: fare critica televisiva a scuola. Per carità. Abbiamo già una scuola sul toboga della catastrofe, studiare i testi televisivi in classe porterebbe o a una noiosa teoresi di “schemata”, o più probabilmene a una scimmiottatura dei talk show, che infatti parlano di se stessi, la tv oggi parla quasi solo di se stessa. La personalità critica di Sanguineti, critica nei confronti di qualsiasi “mezzo”, formatasi sui classici dai greci agli europei moderni, magari traducendoli verso per verso, è lì a mostrare alla scuola il percorso contrario. Forse che, infine, il grande provocatore ha ceduto un poco della vigoria del momento “ironico-cinico” (sempre dei tempi di “Ideologia e linguaggio”) annacquandolo in un momento più critico-storico-esistenzial retrospettivo? Lui che puntò il freudismo al fianco del marxismo, oppose il culto della famiglia al Sessantotto libertario, il personaggio della “moglie” a secoli di donne angelicate stilnoviste o petrarchiste, l’antilirismo alla lirica, il comico al tragico, il basso all’alto, il materialismo al platonismo eterno, il corpo all’immagine, il culturalismo (tutto è cultura, cioè storia) al naturalismo (non esiste una natura autonoma: perciò manca qui la voce “Natura” e ogni minimo riferimento a problemi ecologici o ambientali). Ma no. Ecco che avanza sul palcoscenico la Morte, ultima Voce. Natura verace. Memento mori. Quale botto e botta più efficace contro l’ideologia dominante e i mass media che la censurano e la camuffano o la rimuovono? Già nel ’71 rispondendo a una giornalista giapponese, Sanguineti indicò i suoi due temi poetici principali: my wife and my death. “Nuotare da morto”, “fare il morto” è un esercizio che attraversa decenni di scrittura a partire dal “Giuoco dell’oca” (’67) quando immaginava di stare dentro una cassa da morto e di vedere i visitatori attraverso una fessura (influenza della scena del “Vampiro” il film di Dreyer, come suggerirebbe la penultima pagina della qui enciclopedizzata Morte?), da “Cataletto 13” al grande “Novissimum testamentum” (e testamentario per l’appunto è anche questo Novecento) fino alla memorabile poesia in morte di Italo Calvino con “L’autodidattico impararmi/ a farmi il morto”: “Il nodo centrale della trasmissione culturale sta nell’insegnare all’animale-uomo che deve morire”. In prosa e in poesia. E un bell’amen per tutto il resto.
Giorgio Bertone
Il Secolo XIX, 19 novembre 2005